Università Globale – un libro collettivo su conflitti e istituzioni autonome contro il mercato del sapere.

 Recensione a cura di alcuni partecipanti/mobilitati dell’Assemblea NoGelmini di Torino:

Il libro “Università Globale”, è formato da una cernita di interventi
estratti da una mailing-list di dibattito sulle mutazioni
dell’università, la produzione dei saperi e le prospettive di conflitto
(edufactory@listculture.org
) a cui hanno preso parte nel corso di un anno centinaia di militanti,
studenti e ricercatori provenienti da tutto il mondo. La direttrice
teorica da cui il progetto muove è l’assunto secondo cui ciò che un
tempo era la fabbrica, nel suo ruolo di primario epicentro produttivo,
oggi è l’università. Tale nodo, lungi dal voler asserire una pretesa
continuità lineare tra i termini comparati rimuovendone le differenze
specifiche, vuole alludere, seppure nella consapevole insufficienza
analitica, al divenire immediatamente produttivo dell’università
nell’odierna fase post-fordista ed al suo essere centrale  per le forme
di controllo, disciplinamento e sfruttamento del lavoro vivo nel
capitalismo contemporaneo. L’interrogazione iniziale, piuttosto che
teorema o schema analitico, pone il problema politico urgente di
organizzare il conflitto e la soggettivazione antagonista
nell’università come se fosse la fabbrica, nonostante la diversità
radicale tra i due contesti.

Perchè si possa avanzare questo ambizioso progetto è però necessario
indagare i fenomeni di cognitivizzazione del lavoro e della sfera
produttiva, nonchè stabilirne efficacemente il rapporto con le
trasformazioni intervenute nella formazione e nei compiti di cui
l’economia la investe. Il presente rivolgimento nei sistemi di
valorizzazione capitalista ha uguale portata e segno diametralmente
opposto all’affermazione del capitalismo industriale fordista. Il
“capitalismo cognitivo” infatti, stando a quanto descritto nel
contributo di Carlo Vercellone, inverte le tre tendenze principali
della trasformazione fordista identificate da Gramsci nello scritto
“Americanismo e Fordismo”: consolidamento della divisione tra lavoro
manuale e intellellettuale; polarizzazione sociale del sapere; processo
di incorporazione dei saperi nel capitale fisso. Il fattore
determinante nella nuova organizzazione del lavoro infatti,
contrariamente a quanto asserito dalle ingenue teorie della rivoluzione
informatica, non è il determinismo tecnologico degli strumenti di
informazione e comunicazione(ICT), bensì  la funzione egemone dei
saperi vivi che producono le informazioni veicolate e messe a valore.

Il capitalismo post-industriale inoltre, nella costituzione  di
un’intellettualità diffusa, riarticola le modalità di gerarchizzazione
dei saperi passando da un mero meccanismo di esclusione sociale, a cui
faceva fronte la semplice e ormai in buona parte datata rivendicazione
del diritto allo studio e di massificazione dell’università, a forme di
inclusione differenziale ben più insidiose che incentivano
selettivamente le porzioni di produzione cognitiva  compatibili e
funzionali all’incremento del profitto. La conoscenza è sempre più
condivisa, diffusa da una governance capitalista che innalza il livello
formativo e accresce la scolarizzazione di
massa:l’intellettualizzazione della forza lavoro porta ad un pieno
primato del capitale intangibile, incarnato dai produttori stessi, sul
capitale materiale e l’organizzazione manageriale d’impresa. La
conoscenza è motore della crescita economica.Tale dinamica conduce a
leggere la formazione e la riproduzione della forza lavoro come
condizioni direttamente produttive:non è più possibile leggere la
composizione della forza lavoro con gli schemi antiquati che relegano
lo studente in una figura improduttiva,inattiva, non meritevole di
remunerazione.

La figura dello studente e quella del lavoratore precario tendono
sempre più a confondersi in un ruolo indistinto che rende le lotte del
settore formativo, dai blocchi metropolitani contro il CPE in Francia
alla mobilitazione No-Gelmini in Italia, direttamente una lotta sul
lavoro e per la riappropriazione di reddito.I n questo quadro la
pratica teorica dell’autoformazione, come “rifiuto del sapere”
costituito e imposto, è il recupero della ricchezza prodotta da parte
di una cooperazione sociale costituitasi in istituzione autonoma e
soggetto trasformativo. Il sapere non è dunque, come nella tradizione
storica della sinistra, sfera auratica da sacralizzare e porre
irenicamente al di fuori dei rapporti sociali ed economici, bensì merce
e oggetto di contesa antagonistica. L’eccedenza dei  saperi rispetto
all’interesse capitalista è la posta in palio del conflitto
nell’attuale modo di produzione, il campo di battaglia in cui si
fronteggiano la ricchezza del comune e il perenne tentativo di
recuperarlo da parte della governance metropolitana.  

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