L’onda anomala non si fermerà!

06.11.2008

Appello nazionale, Roma 22.10.2008

Alle facoltà in mobilitazione, alle studentesse e agli studenti, ai dottorandi, ai precari della ricerca


"
Noi la crisi non la
paghiamo
", è questo lo slogan con cui poche settimane fa abbiamo
iniziato le mobilitazioni all’interno dell’università la Sapienza. Uno
slogan semplice, ma nello stesso tempo diretto: la crisi globale è
crisi del capitalismo stesso, della speculazione finanziaria e
immobiliare, di un sistema senza regole né diritti, di manager e
società senza scrupoli; questa crisi non può ricadere sulle spalle
della formazione, dalla scuola all’università, della sanità, dei
contribuenti in genere. Lo slogan è diventato famoso, correndo veloce
di bocca in bocca, di città in città. Dagli studenti ai precari, dal
mondo del lavoro a quello della ricerca, nessuno vuole pagare la crisi,
nessuno vuole socializzare le perdite, laddove la ricchezza è stata per
anni distribuita tra pochi, pochissimi.

Ed è proprio il
contagio che si è determinato in queste settimane, la moltiplicazione
delle mobilitazioni nelle scuole, nelle università, nelle città, che
deve aver suscitato molta paura. Si sa, il cane che ha paura morde,
altrettanto la reazione del presidente del Consiglio Berlusconi non si
è fatta attendere: "polizia per le università e le scuole occupate",
"faremo fuori la violenza dal paese". Soltanto ieri Berlusconi aveva
dichiarato di voler aumentare i sostegni economici alle banche e di
voler fare dello stato e della spesa pubblica garanti in ultima istanza
per i prestiti alle imprese: in una parola, tagli alla formazione, meno
risorse per gli studenti, tagli alla sanità, ma soldi alle imprese,
alle banche, ai privati. Ci chiediamo allora dove si trova la violenza:
è violenta un’occupazione o piuttosto è violento un governo che impone
la legge 133 e il decreto Gelmini, in barba a qualsiasi discussione
parlamentare? E’ violento il dissenso o chi intende soffocarlo con la
polizia? E’ violento che si mobilita in difesa dell’università e della
scuola pubblica o chi intende dismetterle per favorire gli interessi
economici di pochi? La violenza sta dalla parte del governo Berlusconi,
dall’altra parte, nelle facoltà o nelle scuole occupate, c’è la gioia e
l’indignazione di chi lotte per il proprio futuro, di chi non accetta
di essere messo all’angolo o costretto al silenzio, di chi vuole essere
libero.




Ci è stato detto che
sappiamo soltanto dire no, che non abbiamo proposte. Niente di più
falso: proprio le occupazioni e le assemblee di questi giorni stanno
costruendo una nuova università, un’università fatta di conoscenza, ma
anche di socialità, di sapere ma anche di informazione, di
consapevolezza. Studiare è per noi fondamentale, proprio per questo
riteniamo indispensabili le proteste: occupare per poter far vivere
l’università pubblica, dissentire per poter continuare a studiare o
fare ricerca. Molte cose nell’università e nelle scuole vanno cambiate,
ma una cosa è certa, il cambiamento non passa per il de-finanziamento.
Cambiare l’università significa aumentare le risorse, sostenere la
ricerca, qualificare i processi formativi, garantire la mobilità (dallo
studio alla ricerca, dalla ricerca alla docenza). Il de-finanziamento,
invece, ha un solo scopo: trasformare le università in fondazioni
private, decretare la fine dell’università pubblica.




Il disegno è chiaro,
anche gli strumenti: la legge 133 è stata approvata nel mese d’agosto,
di fronte al dissenso di decine di migliaia di studenti si invoca
l’intervento della polizia. Questo governo vuole distruggere la
democrazia, attraverso la paura, attraverso il terrore. Ma oggi, dalla
Sapienza in mobilitazione e dalle facoltà occupate diciamo che noi non
abbiamo paura e di certo non torneremo indietro sui nostri passi. È
nostra intenzione, piuttosto, far retrocedere il governo: non fermeremo
le lotte fin quando la legge 133 e il decreto Gelmini non verranno
ritirati! E questa volta andiamo fino in fondo, non vogliamo perdere,
non vogliamo abbassare la testa di fronte a tanta arroganza. Per questo
invitiamo tutte le facoltà in mobilitazione del paese a fare la stessa
cosa: vogliono colpire le occupazioni e allora che altre mille scuole e
facoltà occupino!




In più, al seguito
dello straordinario successo dello sciopero e delle manifestazioni del
17 ottobre, indetti dai sindacati di base, riteniamo giunto il momento
di dare una risposta unitaria e coordinata nelle piazze delle nostre
città. Proponiamo di dare vita a due scadenze nazionali: una giornata
di mobilitazione per venerdì 7 novembre, con manifestazioni dislocate
in tutte le città;
una grande manifestazione nazionale del mondo della
formazione, dall’università alla scuola, a Roma per venerdì 14
novembre
, giornata in cui i sindacati confederali hanno decretato lo
sciopero dell’università, giornata da costruire dal basso e che veda
protagonisti in primo luogo gli studenti, i ricercatori ed i docenti in
mobilitazione. Altrettanto riteniamo utile attraversare, con le nostre
forme e i nostri contenuti,
lo sciopero generale della scuola promosso
dai sindacati confederali fissato per giovedì 30 ottobre.




Quello che sta
accadendo in questi giorni ci parla di una mobilitazione straordinaria,
potente, ricca. Una nuova onda, un’onda anomala che non intende
fermarsi e che piuttosto vuole vincere. Facciamo crescere l’onda,
facciamo crescere la voglia di lottare. Ci vogliono idioti e
rassegnati, ma noi siamo intelligenti e in movimento e la nostra onda
andrà lontano!

Dalle facoltà occupate della Sapienza di Roma, dall’ateneo in mobilitazione

www.uniriot.org

 

 

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