|marzo 2008| Altro fronte di
guerra, aperto da oltre venticinque anni, tornato caldo a discapito di
un territorio martoriato da un conflitto che si propaga dal 2003 e che
non accenna a fermarsi. In copertina vi è la questione curda, la
resistenza armata del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), ma
sullo sfondo giace un nodo non meno importante nello scacchiere
politico ed economico internazionale, rappresentato dalla
rivendicazione di Ankara su Kirkuk, città irachena straboccante di
petrolio caratterizzata da una forte presenza turcomanna.
“La nuova invasione dell’Iraq”
Così
ha definito l’Independent la nuova offensiva della Turchia nel nord
Iraq, territorio parte del Kurdistan e zoccolo duro della resistenza
curda. Diecimila sono stati i soldati turchi fatti entrare, nella
mattina del 22 febbraio, in Iraq, dopo una giornata di affollamento del
confine alla quale è seguita un’operazione aerea che ha massicciamente
bombardato villaggi e presunte postazioni Pkk, quasi sicuramente già
svuotate dopo le operazioni militari di dicembre. La Turchia ha fatto
partire questa nuova offensiva prima del previsto, pensando di
approfittare del momento a loro favorevole, sbagliando i calcoli e
sottovalutando la resistenza curda. Per giorni interi si sono
susseguiti bombardamenti e combattimenti, nella regione di Zap gli
scontri armati sono stati durissimi, lì l’esercito turco ha cominciato
a contare (non pubblicamente) i danni ricevuti ed il numero
esponenziale di morti tra le proprie fila. Esercito impantanato
innanzitutto dalle condizioni climatiche, data la presenza della neve
sulle montagne irachene, habitat nel quale la guerriglia curda è
abituato a convivere, in uno spazio che inoltre conosce alla
perfezione. La conta delle vittime è contraddittoria, da entrambi le
parti in lotta, certo è che le forze militari della Turchia han subito
pesanti perdite, nonostante la sfarzosa propaganda del governo di Recep
Tayyp Erdogan. Sintomo della sconfitta sono anche le ripetute
umilizioni inflitte dal Pkk, oltre i morti: dagli abbattimenti degli
elicotteri turchi Kobra alle decine di prigionieri fatti dai
guerriglieri tra le montagne.
>> leggi/scarica a lato il documento in pdf “Nessuno può spegnere il fuoco kurdo” di Leyla Zana
Dilaga la repressione anti-kurda, si avvicina il Newroz
Il
21 marzo sarà il giorno del capodanno curdo, il Newroz, che
generalmente si svolge in un clima di tensione e repressione,
quest’anno non sarà da meno dato il clima di violenza e oppressione
messo in campo dall’esercito e dalle forze di polizia della Turchia.
Facile è che questo si tramuti in una nuova occasione di scontro, anche
se l’annunciata visita del premier Erdogan a Diyarbakir sembra
profilare un tentativo di calmare le acque, almeno per il momento.
Nonostante ciò da settimane, dall’inizio delle operazioni di febbraio,
il popolo curdo è sceso in strada, tra manifestazioni contro la guerra
che si concludono frequentemente in scontri con la polizia e
indiscriminate brutalità contro pacifici cortei di massa. In tutte le
città del Kurdistan turco (ma anche in quello iracheno) ci sono stati
scontri, almeno due sono i morti ufficiali fatti dalla polizia.
Oceaniche manifestazioni di piazza, contro la guerra, per la libertà
del popolo curdo, si sono succedute lungo il confine con l’Iraq, a
Diyarbakir, a Sirnak, ma anche ad Istanbul. Imperterrito l’assedio: i
quartieri curdi di Istanbul ed Ankara sono stati circondati, le città
di Adana, Mersin, Diyarbakir e Van sono state isolate e accerchiate
dalla polizia.
Usa: appoggio, pensando all’Iran
Gli
Stati Uniti d’America avevan fornito alla Turchia sostegno logistico e
di intelligence fin dai primi bombardamenti di dicembre, oltre che il
loro pesante appoggio politico alle operazioni militari. Il segretario
della difesa statunitense Robert Gates, mentre le prime bombe venivan
sganciate in territorio iracheno, aveva pubblicamente detto che
“l’operazione turca deve essere veloce, e veloce per me significa un
paio di settimane, non mesi”, esplicitando quindi la volontà di non
aprire ufficialmente un altro fronte della “guerra al terrorismo”, dato
il pantano in cui gli americani sono immersi in vari territori
internazionali. Dall’altra parte aveva però difeso la strategia di
annientamento del Pkk, formazione guerrigliera presente anche lei negli
elenchi delle organizzazioni terroristiche, dando come primo input la
necessità di stroncare il sostegno tra la gente di cui gode il Pkk. Ma
l’appoggio americano deve esser letto anche in un’ottica più
strumentale, dato il bisogno dell’amicizia di Turchia e curdi iracheni
in funzione anti-Iran: già si parla della costruzione di una nuova base
militare americana nel nord Iraq, per far sentire il fiato sul collo al
paese persiano ma anche per aver garantita un base di appoggio
logistico importante.
Il silenzio dell’Europa, il servilismo iracheno
La
Turchia ha invaso un altro paese nella tranquillità di sapere di poter
agire indisturbata, innanzitutto per il sostegno Usa ma anche per il
silenzio dell’Europa, la quale si è limitata ad invitare i turchi a non
commettere “azioni militari sproporzionate”, legittimando di fatto
l’invasione ma ostentando una ridicola moderazione, come già similmente
fatto con Israele nella sua ultima scampagnata nella Striscia di Gaza..
Il governo iracheno, come d’abitudine per ogni potere fantoccio, ha
manifestato “disapppunto”, dicendo di non essere stato informato
dell’operazione.. Poco più alta la voce (di una parte) del governo
regionale del Kurdistan iracheno, ma emblema del servilismo e
dell’assoggettamento è stato il presidente iracheno e curdo Jalal
Talabani: ha accettato l’invito del governo Erdogan a visitare la
Turchia, ha condannato il Pkk definendola terrorista, ha infine difeso
l’operazione militare turca; tutto questo mentre il suo popolo moriva
sotto l’artiglieria dell’esercito turco. Obiettivo della Turchia, oltre
il Pkk ed il petrolio di Kirkuk, è quello di spaccare sulla questione
curda gli stessi curdi e ovviamente l’Iraq.
Turchia con la coda tra le gambe, ma non si fermano le operazioni
Nonostante
la propaganda mediatica fatta dal governo turco, le dichiarazioni
trionfanti, la Turchia che esce dall’Iraq è un paese sconfitto
militarmente dalla resistenza del Pkk, con un carico di morti
imprecisato ma notevole, la neve alta mezzo metro che l’ha bloccata,
l’umiliazione del gigante che deve soccombere. Eppure il governo
Erdogan, a qualche giorno dall’inizio dei primi combattimenti, aveva
sottolineato che “non ci sarà alcun calendario per il ritiro delle
truppe ne alcuna indicazione sulla durata dell’operazione militare in
corso fino a quando la presenza dei terroristi non verrà eliminata”. Il
29 febbraio l’esercito della Turchia si è ritirato, facendolo sapere
attraverso un comunicato, aprendo una polemica con il governo che non
sapeva nulla (..) e motivandolo con “il raggiungimento degli obiettivi”
la ritirata. Dopo il ritiro si ha avuto notizia di bombardamenti
effettuati dall’aviazione turchia ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, a
350 chilometri da Baghdad, nella giornata del 5 marzo. Quel che
comunque trapela dagli ambienti militari della Turchia è che l’azione
di fine febbraio sia servita da prova generale rispetto ad un’imponente
aggressione militare che si programma per la primavera, il che
ovviamente nulla toglie alla sconfitta subita e alla vittoria
registrata (ancora una volta) dalla guerriglia del Pkk.